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Zoom... che fatica!

2021-03-16 16:18

Giada per Il Fattore Umano

Sviluppo, Articoli, smart working, zoom, esaurimento,

Zoom... che fatica!

La popolarissima ZOOM, ma anche le altre piattaforme di videochat hanno dei limiti di progettazione per cui è facile che la mente e il corpo si esauriscano. I

Zoom e le videochiamate che stancano: la popolarissima ZOOM, ma anche le altre piattaforme di videochat hanno dei limiti di progettazione per cui è facile che la mente e il corpo si esauriscano.  

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I ricercatori di Stanford hanno identificato quattro delle cause della cosiddetta “fatica da zoom” fornendo anche delle soluzioni piuttosto semplici per mitigarne gli effetti. Dato l’aumento dell’utilizzo delle videoconferenze dovuto al numero sempre più elevato di lavoratori in smart working, il professor Jeremy Bailenson, direttore e fondatore dello Stanford Virtual Human Interaction Lab (VHIL), ha voluto esaminare le conseguenze psicologiche per chi trascorre molte ore al giorno su Zoom e sulle altre piattaforme di video chat.

 

Dopo aver analizzato la stanchezza da Zoom in prospettiva psicologica, nell’articolo del 23 Febbraio pubblicato sulla rivista Technology, Mind and Behaviour, Bailenson identifica quattro conseguenze delle video conferenze prolungate.  

 

Di seguito sono riportati quattro motivi principali per cui, secondo lo studio, le video chat ci affaticano. 

 

1) La quantità di contatto visivo ravvicinato è molto intensa 

 

Sia la quantità di contatto visivo sia le dimensioni dei volti sugli schermi sono innaturali. 

Durante una riunione normale, non rivolgeremmo lo sguardo solo all’oratore ma ci guarderemmo anche attorno oppure prenderemmo appunti. Nel corso di una video chiamata su Zoom, tutti guardiamo tutti, sempre. Anche quando non siamo noi a parlare siamo concentrati a guardare i volti di chi ci sta guardando a sua volta. Il contatto visivo è notevolmente aumentato e di conseguenza anche una delle più grandi fobie della nostra popolazione: l’ansia di dover parlare in pubblico. Tutto questo rende l’esperienza piuttosto stressante.  

 

Un altro aspetto legato al contatto visivo riguarda la dimensione dei volti, che spesso, sul monitor, appaiono più grandi per comodità. "Quando il volto di qualcuno è così vicino al nostro nella vita reale, il nostro cervello lo interpreta come una situazione intensa che porterà all'accoppiamento o al conflitto. Quello che sta succedendo, in effetti, quando usiamo Zoom per molte ore è che siamo costantemente in questo stato di ipereccitazione", ha detto Bailenson. 

 

La soluzione suggerita da Bailenson per questo problema, almeno finché le piattaforme non cambieranno la loro interfaccia, è quella di togliere la spunta dall’opzione a schermo intero e di ridurre le dimensioni della finestra Zoom per ridurre al minimo le dimensioni del viso e di utilizzare una tastiera esterna per consentire l’aumento della distanza tra il nostro volto e lo schermo stesso.  

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2) Vedere noi stessi durante le chat video costantemente in tempo reale è faticoso 

 

La maggior parte delle piattaforme di video chat ci mostrano in un riquadro la nostra figura durante tutta la video conferenza. Secondo Bailenson, questo sarebbe innaturale: “Nel mondo reale, se qualcuno ci seguisse costantemente con uno specchio - in modo che mentre parliamo con le persone, prendiamo decisioni, diamo o riceviamo feedback, ci guardiamo allo specchio, sarebbe semplicemente folle. Nessuno lo prenderebbe mai in considerazione”.  

Gli studi citati da Bailenson dimostrano, inoltre, che quando vediamo il riflesso di noi stessi, siamo più critici nei nostri confronti. Molti di noi ora si ammirano più frequentemente proprio per l’aumento dell’utilizzo di queste piattaforme. “È faticoso per noi. È stressante. E ci sono molte ricerche che dimostrano che ci sono conseguenze emotive negative nel vedersi allo specchio”.  

A tal proposito Bailenson ci consiglia di utilizzare il pulsante "nascondi vista personale", a cui è possibile accedere facendo clic con il pulsante destro del mouse sulla propria foto, una volta verificato che il nostro viso sia inquadrato correttamente nel video. 

 

3) Le chat video riducono drasticamente la nostra solita mobilità 


Mentre le conversazioni di persona, ma anche quelle telefoniche, ci consentono di camminare e muoverci, in videoconferenza la maggior parte delle telecamere ha un campo visivo definito, il che significa che dobbiamo generalmente rimanere nello stesso punto. Questo significa che il movimento è limitato costringendoci a una posizione poco naturale. “C'è una ricerca che dice che quando le persone si muovono, si comportano meglio a livello cognitivo”, ha detto Bailenson. 

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Una possibile soluzione proposta da Bailenson è di pensare di più alla stanza in cui solitamente facciamo le videoconferenze, a dove è posizionata la videocamera e se cose come una tastiera esterna possono aiutarci a creare distanza o flessibilità. Ad esempio, una videocamera esterna più lontana dallo schermo ci consentirebbe di camminare e scarabocchiare nelle riunioni virtuali proprio come facciamo in quelle reali. E, naturalmente, spegnere periodicamente il proprio video durante le riunioni è una buona regola di base da impostare per i gruppi, solo per concedersi un breve riposo non verbale. 

 

4) Il carico cognitivo è molto più alto nelle chat video 

 

Bailenson osserva che nella regolare interazione faccia a faccia, la comunicazione non verbale è abbastanza naturale e ognuno di noi compie e interpreta gesti e segnali non verbali, anche inconsciamente. Ma durante le videoconferenze dobbiamo lavorare di più per inviare e ricevere segnali. 

In effetti, noi esseri umani abbiamo preso una delle cose più naturali al mondo - la conversazione di persona - e l'abbiamo digitalizzata, ma questa trasformazione coinvolge molte riflessioni: “Dobbiamo assicurarci che la testa sia inquadrata al centro del video. Se volessimo mostrare a qualcuno che siamo d'accordo con lui, dobbiamo fare un cenno esagerato o alzare il pollice. Tutto ciò comporta carico cognitivo non indifferente poiché utilizziamo calorie mentali per comunicare”. 

I gesti, inoltre, possono significare cose diverse nel contesto di una video conferenza. Uno sguardo di traverso a qualcuno durante una riunione di persona significa qualcosa di molto diverso da una persona su una griglia che guarda fuori dallo schermo il proprio figlio che è appena entrato nell’ufficio a casa. 

Il consiglio è quello di concedersi una pausa “solo audio” durante riunioni lunghe. “Non si tratta semplicemente di spegnere la fotocamera per prendersi una pausa dal dover essere attivi in modo non verbale, ma anche di allontanare il corpo dallo schermo”, ha detto Bailenson, “in modo che per alcuni minuti non siamo soffocati da gesti che sono percettivamente realistici ma socialmente privi di significato.” 

 

 

 

Bailenson - insieme a un’equipe di esperti*  hanno ideato una scala, la Zoom Exhaustion & Fatigue Scale , o ZEF Scale, per misurare la fatica che le persone provano sul posto di lavoro a causa delle videoconferenze.  

La scala consiste in un questionario di 15 domande sull'affaticamento generale, l'affaticamento fisico, l'affaticamento sociale, l'affaticamento emotivo e l'affaticamento motivazionale di una persona. È possibile misurare la propria fatica da Zoom effettuando il sondaggio qui e contribuendo, quindi, al progetto di ricerca. 

 

Lo scopo di questi studi non è quello di screditare piattaforme di videochat, che lo stesso Bailenson  afferma di utilizzare, ma suggerire modifiche all’interfaccia e fornire a coloro che ne fanno un uso continuato alcuni consigli su come sfruttare le attuali funzionalità per ridurre l’affaticamento che ne deriva. Infatti, molte organizzazioni, comprese scuole, grandi aziende ed enti governativi, hanno contattato i ricercatori di comunicazione di Stanford per capire meglio come creare le migliori pratiche per la loro particolare configurazione di videoconferenza e come elaborare linee guida istituzionali.  

 

Per saperne di più sullo studio, clicca qui.

 

*Jeff Hancock, direttore fondatore dello Stanford Social Media Lab ; Géraldine Fauville, ex ricercatrice post-dottorato presso il VHIL; Mufan Luo; studente laureato a Stanford; e Anna Queiroz, postdoc presso VHIL. 


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