A scuola mi annoiavo e riempivo i quaderni di disegni B. Bozzetto
Io di Jacopo Mele, ovviamente, avevo già sentito parlare, come dell’enfant prodige nell’ordine: della politica mondiale (il baby influencer più giovane nella classifica under 30 di Forbes) del web, disegnava siti a 12 anni del digital life coaching, professione da lui stesso inventata della consulenza digitale, nella quale aiuta azienda di ogni dimensione a fare il balzo nelle nuove frontiere del marketing. Da poco tra i relatori di prestigio dell’evento di Salerno all’Ecommerce Hub, poco più che ventenne, ha grinta, carattere, incisività e capacità uniche di creare network. Jacopo viene descritto da tutti quelli che lo incontrano con una persona che, a un grande talento, unisce una grande umanità, caratteristica che, noi "vecchi", X Generation, per pregiudizio, difficilmente associamo ai "Millenial".
La sua presentazione, nel meeting nel quale l’ho conosciuto, come Managing Partner della nuova rete YourDigital, veniva dopo quella di alcuni colleghi che avevano presentato cifre, diagrammi a barre e, come somma trasgressione, un grafico a torta.
Quando Jacopo si è alzato per presentare l’energia è cambiata.
Sarà stato per il suo sorriso da ragazzi (e lui se lo può ancora permettere) per il suo sguardo aperto o per il modo semplice e diretto con cui parla delle cose. Era già successo all’inizio, quando nel giro di presentazioni iniziali, aveva detto, dopo che i presenti avevano citato da Marcel Proust al Dialogo sui Massimi Sistemi, che il libro che lui avrebbe usato per descriversi era Geronimo Stilton, l’unico che fosse riuscito mai a leggere, dato che ha una media dislessia.
Per i pochi che non lo sapessero, una persona affetta da dislessia ha difficoltà con la lettura e/o con la scrittura e, di conseguenza, con il modo "standard" di intendere l’apprendimento. In poche parole, il problema non è tanto il presunto "deficit" quanto il fatto che l’istruzione sia progettata, realizzata e modellata su persone che imparano leggendo e scrivendo.
E qui mi sono detta, vorrei proprio farmi una chiacchierata con Jacopo per capire come è riuscito a fare slalom e a realizzare il suo potenziale? Che ruolo ha avuto in questo la dislessia? Come psicoterapeuta e coach so bene che è dai nostri (apparenti) limiti che possono nascere le opportunità. Gli ho scritto un messaggio e, con la sua abituale disponibilità, mi ha detto che mi avrebbe chiamato da Boston alle 8.00 del mattino (ora sua, fortunatamente) per fare due chiacchiere. Purtroppo ci siamo capiti male sul giorno e mi ha beccato in automobile, fortunatamente sul sedile del passeggero e, non avendo di meglio, ho scritto i miei appunti sulle parti bianche del tagliando dell’assicurazione.
Il suo racconto è allegro, leggero. Gli è stata diagnosticata una media dislessia quando aveva 4 anni. All’epoca, nonostante parliamo di un passato relativamente recente, era un disturbo che, era poco conosciuto in Italia e, all’inizio, avevano pensato che fosse sordo.I suoi problemi principali erano con la scrittura e con i numeri. L’insegnante di matematica gli ha disse che era evidente che quando pensava a 8 non pensava alla cifra intera ma a 2+2+2+2. E’ da allora che ha capito che amava la complessità anche se ancora non era in grado di darle un nome.
Ha inforcato la sua ormai mitica bicicletta in terza elementare. Spesso, ma non sempre, la usava per andare a scuola, che era a 200 metri da casa sua, altrettanto spesso, se non di più, la usava per andare in giro quando la scuola la marinava e, che la marinasse o no, gli piaceva, prima di tornare a casa, fermarsi dai negozianti lungo la strada per capire se c’era un problema che potesse dare una mano a risolvere. Quando gli altri coetanei a malapena sapevano accendere un computer, a 10-12 anni progettava siti web (quando le cose non erano semplici come ora) ma non riusciva a usare Word, con stupore dei suoi amici: "non mi piacciono le cose semplici" dice "non riesco a farle".
Ha frequentato il nautico, e non lo ha finito, lo ha trovato diverso da come lo aveva immaginato e, forse, non abbastanza complesso. Mi racconta divertito di quando a scuola facevano i mercatini e lui era molto abile come commerciante, e veniva cooptato da un docente della scuola per incrementare il giro d’affari, si creava quindi un conflitto tra il professore che lo coinvolgeva ai mercatini e quello di Tecnica - cui deve ancora 100 tavole - che lo voleva in classe.
"Perseguitato" dall’arte sin dalla più tenera età "Per me era normale andare a teatro una volta a settimana e mi sono stupito quando una mia compagna di classe, alle medie, mi ha detto che lei ci sarebbe andata per la prima volta" grazie al padre, professore e critico d’arte, ha cercato, invano di distaccarsene.
Ha finito per diplomarsi alla Scuola di Cinema.Jacopo, come Mark Twain, potrebbe dire "non ho mai lasciato che la scuola interferisse con la mia istruzione". Ha superato con un sorriso le tattiche punitive del professore che si divertiva a chiamarlo alla lavagna sapendo che avrebbe fatto scena muta. "Il giudizio dei professori non mi pesava perché sapevo di avere il supporto e la fiducia dei miei genitori".
Ha imparato dalle persone, con le persone, dalle immagini, dal web, parlando, facendo esperienze, diventando un artista delle emozioni digitali e umane.Il suo punto di forza è la poliedricità, la capacità di costruire una rete, la velocità tra problema e soluzione, l’essere sempre nel momento, con tutto il suo entusiasmo e la sua passione e, allo stesso tempo, l’avere voglia di andare sempre avanti. Non si ritiene un tecnico ma uno che riesce far lavorare bene gli altri."Se penso a una soluzione penso a una persona." Sorrido pensando che, in generale, l’atteggiamento di molti manager che conosco è il contrario, tendono a personalizzare i problemi, non le soluzioni.
Non c’è stato un momento di svolta nella sua vita, un momento in cui si è sentito arrivato (d’altro canto è così giovane!) ma tanti momenti in cui ha pensato "questo è quello che vorrei fare per tutta la vita" e anche se è andato avanti, un pezzetto di quella passione è restato con lui. La voce gli vibra di affetto e di gratitudine quando parla di sua madre, psicoterapeuta sistemica, che gli ha lasciato responsabilità e libertà ma, soprattutto, gli ha fatto sentire che si fidava di lui.
Il foglio bianco dell’assicurazione è finito e rimaniamo d’accordo che ci vedremo quanto prima per parlare di strategie di apprendimento. Ci salutiamo.
E mentre la macchina continua ad andare penso a Jacopo, alla sua bici, al suo 2+2+2+2, all’arte, alla fiducia e mi viene in mente un vecchio proverbio africano, che Jacopo sembra conoscere bene: "Se vuoi andare veloce, vai da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme".